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Il 19 marzo del 2019 la seduta del Parlamento in Nuova Zelanda si è aperto con il saluto del Primo ministro laburista Jacinda Ardern, pronunciato in arabo: “Salaam aleikum”, la pace sia con voi. Quattro giorni prima un suprematista bianco, Brendon Tarrant, organizza due attacchi con arma da fuoco, il venerdì di preghiera, nella moschea di Al Noor e presso il centro islamico di Linwood a Christchurch (South Island) uccidendo 51 persona tra cui un bimbo di tre anni. Il terrorista, che montava un casco con telecamera, è riuscito a trasmettere 17 minuti di diretta video su Facebook. Nonostante Facebook avesse annunciato di aver cancellato un milione e duecento mila video in fase di caricamento e dunque prima della diffusione, oltre trecentomila hanno invaso, per un breve periodo, il social network. Qualcosa di simile è accaduto con YouTube, dove nelle ore successive al massacro, i video di Christchurch sono stati caricati a un ritmo tale che la stessa piattaforma di San Bruno non è riuscita a fermarne, sul momento, la diffusione.
Durante il discorso il Primo ministro ha affermato che per “garantire la sicurezza ai neozelandesi” si deve “esaminare con grande franchezza la legge sulle armi”. Tutt’ora in Nuova Zelanda, Paese che conta circa 5 milioni di abitanti, sono infatti presenti una cifra stimata di circa un milione e quattrocento mila armi da fuoco. La decisione della Arden avrebbe così portato, nei mesi seguenti, all’adozione di una nuova legislazione volta all’inasprimento delle normative vigenti sul possesso di armi da fuoco a partire dall’obbligo di consegna, entro il dicembre dello stesso anno, di tutti i fucili semi-automatici di tipo militare e d’assalto. “Possedere un’arma è un privilegio non un diritto”, ha affermato la Ardern.
Nel suo discorso la Arden ricorda come la nuova Zelanda sia un Paese dove sono presenti 200 etnie e dove si aprono le “porte agli altri e diciamo: benvenuto” e la sola “cosa che deve cambiare dopo quello che è successo venerdì è che questa stessa porta deve rimanere chiusa davanti a quanti professano odio e paura.” Come per Anders Breivik (l’assassino degli attentati del 22 luglio 2011 in Norvegia) anche Tarrant, con un manifesto di 73 pagine, ha fornito la chiave interpretativa della sua radicalizzazione con un testo apertamente razzista e anti-islamico. Sono le stesse parole di odio che nel 2018, a Pittsburgh, spinsero un altro suprematista bianco, Robert Bowers, ad attaccare una sinagoga uccidendo undici ebrei. Quelle stesse motivazioni che un anno prima portarono estrema destra, alt-right e neonazisti al raduno di Charlottesville (Virginia) al grido: “Gli ebrei non ci sostituiranno mai.” Perché dietro ogni aggressione contro un gruppo etnico, religioso, comunità c’è sempre una logica di esclusione e sentimento di odio pronto a dividere, esasperare le distanze, sottolineare le differenze, montare diffidenze (Dylann Roof, l’autore del massacro di Charleston nel 2015, dopo essere stato catturato dichiarò che aveva compiuto il gesto allo scopo di scatenare una guerra razziale).
“Quei cari erano fratelli, sorelle, padri e bambini. Erano neozelandesi, sono noi. E poiché sono noi, noi, come nazione, li piangiamo.” Così ha aperto il suo discorso la Arden. “Non possiamo conoscere il vostro dolore, ma possiamo accompagnarvi in ogni vostro passo. E lo faremo.” Poi venerdì 22 marzo, a una settimana dall’attentato, migliaia di persone si sono radunate vicino alla moschea Al Noor per celebrare la giornata nazionale di riflessione per le vittime. "Abbiamo il cuore spezzato, ma non siamo spezzati. Siamo vivi, siamo uniti, determinati a non permettere a nessuno di dividerci. "Così ha parlato l'imam Gamal Fouda che ha poi concluso il suo intervento – quasi a fare da eco alla Arden quando in Parlamento aveva aperto il proprio in arabo – in lingua maori: "Aroha, Aroha, Aroha". Amore, amore, amore.
Tarrant non era neozelandese ma risedeva nell’Isola. Secondo la Arden con il suo gesto, oltre che seminare odio e paura, ha cercato di raggiungere anche la notorietà: “Per questo, non mi sentirete mai pronunciare il suo nome.” Così come il pastore greco Erostrato, due millenni addietro, aveva provato a immortalare in qualche modo il proprio nome distruggendo il tempio di Artemide e i suoi concittadini lo condannarono decretando che mai venisse ricordato il suo così la Arden ricorda che se “sicurezza significa essere liberi dalla paura della violenza” ma “anche essere liberi dalla paura dei sentimenti di razzismo e odio” implora ogni cittadino affinché pronunci “forte il nome di chi è rimasto senza vita, non quello di chi, la vita, gliel’ha tolta.”
Jacinda Kate Laurell Ardern (Hamilton, 26 luglio 1980) capo del partito laburista neozeolandese, è diventata primo ministro nell’ottobre del 2017, a 37 anni. KqXPGqwD-to |