Video Discription |
Questo docu-film sovietico del ‘78 dedicato alla squadra femminile dell'artistica riprende frammenti di gare e allenamenti. Sebbene ammantato di retorica (v. i fotogrammi della Mukhina con in mano una colomba bianca) è evidente un sottotesto più profondo, noto, ma spesso ascritto alla sola Europa dell’Est dove, nel teatro più grande della Guerra Fredda, anche lo sport, diventava epifania, fulgida immagine di un sistema politico-economico compiuto.
La storia di Elena Mukhina (v. qui: https://youtu.be/D_Og-syu9n0) e della sua parabola sono emblematiche di come il regime sovietico ricercasse e consumasse uomini e donne al fine di farne la propria indiscriminata ipostasi. Elena stupisce il mondo agli Europei del ‘77 ove giunge alle spalle della sola Comaneci nell’all-around per conquistare poi, un anno dopo, ai Mondiali di Strasburgo, in una delle più entusiasmanti finali di sempre, tre ori lasciando dietro proprio la rumena. La Federazione capisce che ella è l’atleta giusta per riportare sul podio il Paese alle prossime Olimpiadi che si terranno a casa. Affiancata dal preparatissimo tecnico Mikhail Klimenko, anch’egli prodotto di quel sistema di cui prima, Elena a due settimane dai Giochi, durante una sessione di allenamento a Minsk al fine di ottenere il pass per Mosca si infortuna gravemente, nel tentativo, pur in condizioni precarie, di provare il complesso salto Thomas. La sentenza è drammatica: tetraplegia.
In questo documento prendono voce tecnici della federazione quali Shaniyazov, Korshunov e il consulente Zaglad; ginnaste affermate come la Kim, giovani emergenti come Shaposhnikova e Davydova (oro individuale a Mosca); Filatova e, naturalmente, Mukhina.
Il documento parte con le immagini della catena montuosa di Tsakhkuni, nell’Armenia centrale, in una rinomata stazione sciistica dove le atlete passeranno alcuni giorni tra riposo e allenamenti. Le voci fuori campo sono dei giornalisti, dei tecnici o della coreografa Sokolova che si occupa degli elementi artistici; non mancano dialoghi dal vivo come il toccante confronto tra la Mukhina e il suo coach. Alcuni aspetti, come il rapporto tecnico/allieva, benché descritti dalla voce fuori campo, risultano però ancor più icasticamente rappresentati proprio dalle immagini. Il video affianca a riflessioni quali l’importanza della comunicazione e del rispetto annotazioni meno piane come l’educazione al lavoro inteso come gioco. È inoltre proposta la riflessione che il solo talento, lavoro e amore per la ginnastica non bastino per emergere: la costanza è fondamentale. Eppure c’è dell’altro: come un filo rosso che, anche se sottotraccia, risuona come eco lontana e che rappresenta la cifra ultima del racconto: e la triste storia di Elena, sebbene non sia la sola, ne è l’esempio. Costretta all’immobilità sino al giorno della sua morte avvenuta 26 anni dopo, di questo dramma a colpire non sono tanto i tentativi da parte degli organi di informazione sovietici, della Tass, di nascondere l’accaduto, se non fino a quando, due anni dopo i fatti - come un fiume carsico - emergeranno drammaticamente quanto ascoltare le parole della stessa Elena che, nelle poche interviste rilasciate, danno una testimonianza plastica e sconvolgente. Parlo di quel sistema, certo non del solo blocco sovietico, dove ideologia e politica si confondono, in cui lo sport è propaganda capillare; e i cittadini suoi protagonisti e vittime assieme.
“Per il nostro Paese i successi sportivi hanno rappresentato sempre qualcosa di più che il prestigio della Nazione: incarnavano la correttezza del sistema politico sino a diventarne simbolo della sua superiorità. Ecco perché c’era la richiesta di vittoria ad ogni costo, a dispetto dei rischi - che pure abbiamo sempre tenuto in conto - ma proprio a causa di ciò la vita umana veniva svilita, messa da parte dinanzi al “bene” del Paese; e di questo, siamo stati indottrinati sin dall’infanzia. Concetti come l’onore della squadra, della bandiera non potevano contemplare l’individuo.” Elena ricorda come in quei giorni, anche a causa di un infortunio, si sentiva stanca e poco convinta di voler partecipare ai Giochi. Talmente stremata al punto che, subito dopo l’incidente, prima di perdere coscienza, il dolore fu sopraffatto dal pensiero istintivo: “Grazie a Dio non andrò alle Olimpiadi.” Tuttavia Elena non ha condannato nessuno, né Klimenko, né il Direttore tecnico Shaniyazov. “Sono dispiaciuta per Klimenko, è stata la vittima di un sistema, membro di un ingranaggio. Shaniyazov non lo rispetto, invece.” Ricorda inoltre il silenzio di tutti coloro che le stavano attorno, a partire dallo staff medico che non fece nulla per fermare un’atleta infortunata e in condizioni tali da non poter gareggiare. Elena, in un certo senso, avrebbe rimproverato più se stessa per non aver cercato di proteggersi mostrando e gridandolo con più forza.
Prodotto poco prima dei campionati del mondo a Strasburgo il docu-film si chiude con le immagini del torneo Moscow News. 4dNWq5fFLiw |